mercoledì 16 marzo 2016

Samarcanda un anno dopo...





Questo viaggio per me e  la mia moto in particolare  è stato molto di più di un semplice viaggiare alla scoperta di culture e posti nuovi. E’ stata una rivincita a quanto capitato l'anno scorso, un modo per scacciare i fantasmi e le paure.  Per riprendere confidenza con la moto ci sono voluti ben più di 2000  km.
Il viaggio in sé non è un’ impresa titanica o chissà  che: è un "giretto" che fanno molte persone e con i mezzi più svariati, biciclette comprese! 
  Addirittura, si narra che, tanti anni fa,  con successo, un certo Marco Polo sia partito da Venezia a cavallo per raggiungere l’Oriente.

Alla fine del racconto troverete un tot di consigli, un elenco di documenti utili, il road book e l'elenco delle spese, spero siano utili.


   Dopo le traversie che  passate, mi sembrava doveroso aprire con queste due foto.

 

 





Per raccontare nei dettagli  l'avventura sul il blog ci vorrebbero capacità letterarie che non ho. Ma  ci provo e cercherò di essere breve e chiaro ma bisogna, però, tornare ad un anno fa.
  Il 25 aprile 2014, dopo sei  mesi di preparativi, partivamo alla volta di Samarcanda.  L'idea era nata da una idea lanciato dall'amico e collega Emanuele.  Stavo per partire per il Marocco con la mia compagna Patrizia e una mattina,   durante il cambio turno in caserma,  il "fetente" mi dice ridendo: "ma un caffè a Samarcanda?"
Ho avuto venticinque giorni di tempo, mentre eravamo in giro per il Marocco, per far sì che il germe dell’idea diventasse un albero dove ha proliferato una famiglia di "scimmie". Non solo; sulla via del ritorno dal Marocco ho conosciuto Luca, un ragazzo di Roma e  anche lui è rimasto contagiato dal progetto.
  Al ritorno a casa abbiamo iniziato a parlarne tra noi, sempre più seriamente, rivolgendoci anche ad altri amici motociclisti che in Asia già erano stati, uno su tutti Antonio Femia, in arte "Totò le motò
Durante le ricerche anche un altro amico è rimasto invischiato nella storia, Leonardo Scudella, anche se, alla fine ha dovuto rinunciare entrambe le volte. Sta di fatto che  una semplice idea è diventata una concreta realtà.

Dopo aver pianificato il percorso e ottenuti i visti necessari, il 25 aprile siamo partiti. Poi come è andata a finire lo sanno in parecchi ormai;  qui ci sono il racconto e le foto! 
Sono occorsi parecchi mesi e tanta fisioterapia per rimettermi” in piedi” decentemente.
Durante la convalescenza ho cercato tutti i pezzi necessari per aggiustare la mia "Cicciona", anche contro i pareri di qualche amico che mi consigliava di buttarla. 

 La foto è stata fatta dopo aver smontato i pezzi da sostituire, non era così malconcia eh?! 


Mentre Patrizia, suo nipote Federico e un paio di amici,  smontavano, io me ne stavo sulla sedia a rotelle facendo foto e stappando birre! :-) 

Alla fine il risultato mi ha dato ragione e la cicciona è tornata in vita come la Fenice! 



Ma veniamo alla nuova partenza che per "ovvie" ragioni è stata sempre da Assisi....





1 Maggio partenza


Già dallo scorso anno dovevamo portare una lettera -Messaggio di Pace da parte del sindaco di Assisi  dott. Claudio Ricci, al sindaco di Samarcanda dott. Akbar Shukurov e una copia al Curatore del Museo della Pace di Samarcanda.   Quest'anno abbiamo aggiunto anche il Gemellaggio con i Pompieri della città di Tamerlano. Il capo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, ing. Giomi,  ci ha preparato una targa e una lettera da consegnare al locale Comandante dei Pompieri.



Questa volta, per scaramanzia, Luca è andato direttamente ad Ancona, Emanuele ed io,  dopo la benedizione, abbiamo salutato il nostro Comandante, ing. Marco Frezza, siamo partiti in direzione  Casa Castalda dove ad attenderci c'era il Sindaco di Valfabbrica il quale ci ha consegnato nove  stelle ricavate dal legno di gelso e di ulivo delle piante dei frati francescani, ideate e realizzate da Gianfranco Ghibelli, un artista locale                    



La tappa successiva è stata Ancona  da dove, ricongiuntici con Luca, ci siamo imbarcati .

  La traversata è stata tranquilla, mare piatto e traghetto non troppo affollato. Abbiamo trovato posto in una delle sale- poltrone dove abbiamo bivaccato a terra nei nostri sacchi a pelo.  Preludio di quello che avremmo fatto di lìa qualche giorno durante il viaggio.

L'indomani, sbarco veloce a Igoumenitsa e partenza immediata in direzione del confine con la Turchia. La strada che abbiamo percorso per attraversare la Grecia è una quattro  corsie perfettamente asfaltata; ma per fare rifornimento si era costretti ad uscire dall'autostrada.




In serata avremmo potuto  essere tranquillamente in Turchia ma, a causa del ritardo accumulato dal traghetto e per la pioggia, ci siamo fermati ad Alexandropolis a 100 km. dal confine.
L'albergo lo abbiamo trovato  grazie al navigatore; non è che manchino gli alberghi. Solo per la comodità,  in genere quelli in elenco sono economici e ci ha portato fin davanti la porta di ingresso.


Nella fretta di scendere dalla moto Emanuele ha dimenticato di staccare il cavo dell'airbag e... bum!
La prima cartuccia di scorta è andata!!



A dispetto di quanto programmato nei mesi precedenti, prima variazione di programma. Dovevamo passare per la Cappadocia ma  sul traghetto abbiamo iniziato a ragionare e,  dopo aver fatto alcune valutazioni,  siamo giunti alla conclusione che la Cappadocia merita un viaggio a sé;  quindi la decisione di attraversare la Turchia in maniera veloce.

Il mattino seguente, dopo una abbondante colazione, siamo ripartiti verso la frontiera,



Pratiche doganali ultra veloci e via direzione  Bosforo, quindi Istanbul.  In lontananza le nuvole ci facevano già capire che tempo avremmo trovato , ma una volta raggiunti i sobborghi della megalopoli  (14 milioni di abitanti)  il tempo ci ha stupiti con effetti speciali: acqua a catinelle?  no a vasche da bagno!  A quel punto la visita programmata nella città è saltata, ed abbiamo proseguito sperando di uscire presto dalla preturbazione




Dopo aver superato il Bosforo siamo ufficialmente in Asia.  L' attraversamento del ponte e della città  è stato tormentato oltre che dalla pioggia, da un traffico allucinante.  Il problema maggiore è che la guida dei Turchi è, per così dire, “creativa” e va interpretata.  In  un  momento di pioggia più intensa, ci siamo fermati approfittando del riparo di un ponte, con noi si è fermato un agente della stradale, in moto anche lui.  Con mio sommo piacere abbiamo scoperto che la polizia locale ha in dotazione le Honda Varadero ed anche  dello stesso colore della mia!


 




La tappa prosegue fino a Gerede, siamo a 1400m.s.l.m.  La gente del posto, con cui abbiamo parlato, ci ha spiegato che ci troviamo in una località montana dove i turchi in inverno vanno  per sciare. Sarà, ma  cartelli che indicano impianti di risalita non ne abbiamo visti. L'albergo dove ci siamo fermati  si chiama Hotel Esentepe .
Dopo tutta la pioggia presa ci siamo fatti una mega doccia bollente e abbiam mangiato come leoni!!





La  cameriera è rimasta stupita dalla fame che avevamo.  La mattina,  prima di partire, Luca ed Emanuele hanno sostituito il cavo frizione della moto di Luca,  niente di particolare, lavoro veloce e comunque sono imprevisti che possono capitare!




Per il confine  con la Georgia mancavano ancora 1092 km.  Giove pluvio si era talmente affezionato a noi che, per i due giorni seguenti, non ci ha abbandonato se non in maniera sporadica, giusto il tempo di farci togliere le tute antipioggia,  dandoci l'impressione che il peggio fosse passato ma obbligandoci a rimetterle una mezz'ora dopo... togli la cera metti la cera...  



 Le strade della Turchia, che abbiamo percorso, sono in ottime condizioni, si snodano su un altopiano che offre panorami stupendi.   Il problema è la presenza della polizia con gli autovelox.
I "malandrini" piazzano una macchina civetta parcheggiata contromano in corsia di emergenza, all'interno c'è l'autovelox e un poliziotto.

Poco dopo si trova il posto di blocco: una riduzione di corsie fatta con i birilli, dove c'è la pattuglia che ferma i mezzi segnalati poco prima dal loro collega.  La macchina civetta  parcheggiata contromano non è una costante, a volte li abbiamo notati nel giusto senso di marcia, ma sempre con “l'attrezzo infernale “ ben piazzato!




 La polizia turca  ci ha  fermati una sola volta,   più per la curiosità che per la velocità.   La media totale di marcia che abbiamo tenuto  (secondo il navigatore) è stata  di 63 km.h sui 9000 km. totali percorsi. Anzi  in Turchia, la velocità  era ridotta,  considerando anche il costo della benzina che, a volte, era superiore a quella italiana.
Dalle 8.30 del mattino 571 km.percorsi in nove  ore con due di soste.       





Pur essendo una tappa di trasferimento, riusciamo a far amicizie nuove.  Al distributore un ragazzo turco con un Varadero si è avvicinato a guardare le moto e a fraternizzare ;  è stato un attimo, alla fine noi gli abbiamo dato un paio dei vecchi stemmi dei Vigili del fuoco e lui si è staccato dal giacchetto lo stemma del locale Motoclub Varadero per regalarcelo.  Indovinate chi lo ha preso?  :-) 

Si prosegue.  Ore 18.00 arriviamo a Ordu, sul Mar Nero. Volevamo avvicinarci di più al confine georgiano,  ma  va benissimo anche così;  non era una gara e, anche fosse stata, eravamo in anticipo rispetto al programma.

  Troviamo un hotel con  piscina e centro benessere, tutto a 60€ in tre.  Emanuele è ufficialmente il nostro” negoziatore”,  snerva a tal punto i gestori d’albergo che abbassano i prezzi pur di non sentirlo più parlare.                          

I bagagli di un motociclista sono pochi e concentrati, ma quei pochi pesano dannatamente tanto che il facchino dell'albergo  (e forse anche il suo ortopedico)  questo particolare lo ricorderà a vita:  è arrivato davanti alla porta della camera rosso in viso come il fuoco. Aveva  la mia borsa stagna e quella di Luca  appoggiate sulle spalle e con le mani portava le rispettive borse da serbatoio.  Volevo fargli una foto ma, vedendo un lampo di odio nei suoi occhi, ho preferito lasciar perdere.
Il resto della serata lo abbiamo trascorso scaricando le foto, i  video e le tracce del navigatore Proprio durante questa operazione mi sono reso conto di aver superato il meridiano di Kerson e il suo “stramaledetto” incrocio!      Finiti i doveri siamo passati al “cazzeggio” come si può vedere.



Sveglia alle 7.00.  Come da copione, si richiude nelle borse quello che per i prossimi giorni sarà casa nostra , ci rimettiamo l'abbigliamento tecnico e... "andiamo"  Emanuele dà inizio a quello che per tutto il mese sarà un supplizio mattutino... andiamo? andiamo? ancora non hai fatto?
Partiamo e lungo la strada ci fermiamo sotto il cartello di Trebisonda per fare una foto da mandare ad un nostro amico, Danilo Fiorucci,  che, a Perugia, ha fondato,in collaborazione con altre persone il Centro per l’Arte Contemporanea Trebisonda


Tra uno scroscio d'acqua e un timido sole, costeggiando il mar Nero,  arriviamo alla frontiera con la Georgia.  Saltiamo a piedi ( ruote) pari la fila degli autotreni e ci mettiamo davanti alla sbarra in attesa che il militare preposto ci faccia entrare.
  Le formalità doganali sono state veloci e  senza contrattempi.  Durante la breve attesa abbiamo  conosciuto quattro bikers turco- australiani: Emanuele, che potrebbe fraternizzare anche con un palo della luce, ha chiesto  loro da dove venivano e dove andavano e ci  hanno spiegato che stanno girando parte dell’Asia  con le loro moto. Da australiani hanno avuto qualche problema per ottenere i visti per la Georgia ma avrebbero aggirato l’ostacolo mostrando il passaporto turco. Dicevano, inoltre, che si erano pentiti di aver portato le loro moto in quanto, prendendole in affitto, la spesa sarebbe stata molto inferiore. Dopo un po’ di chiacchiere siamo stati richiamati all'ordine da un addetto alla frontiera che, con due urlacci, ci ha fatto proseguire.

In Georgia l'assicurazione non è obbligatoria e  non siamo riusciti a capire come fanno in caso di incidente stradale . Di fatto non abbiamo trovato alcun luogo o ufficio, abbiamo invece incontrato  molti "ambulanti" che vendevano di tutto e molti curiosi,  intorno alle moto, che guardavano e facevano sempre le stesse domande: da dove venite? dove andate? che velocità raggiunge la moto? quanto costa?  Poi a seconda del curioso di turno potevano aggiungere domande specifiche su telecamera, navigatore, taniche della benzina o gli adesivi attaccati sulle borse. (Questa situazione si ripeterà per tutte le prossime frontiere che incontreremo e durante le soste lungo il percorso, con la variante che in Uzbekistan mettono la mano sulla manopola del gas e accelerano, ma questo lo dirò più avanti!)
Tutta questa confusione intorno,  ci ha spiazzato  un momento e, dopo aver dato una rapida occhiata ai vari botteghini presenti, abbiamo proseguito pensando di trovare un posto in città per l’assicurazione.
Accompagnati dalla nostra amica pioggia, arriviamo a Batumi, 







Questa rappresenta l'elica del DNA, ci sono anche le lettere dell'alfabeto georgiano

All'apparenza sembra una bella città, ordinata e pulita, almeno la parte centrale:  ciò che salta all'occhio è che in terra non ci sono né cartacce né cicche di sigarette e la gente cammina tranquilla e rilassata!
 La periferia  è come in gran parte delle città del mondo: " a sviluppo casuale" , qui bisogna aggiungere  le costruzioni in stile ex- unione sovietica.  Di bello ci sono solo larghi vialoni!

 

Una sola notte di permanenza non ti premette di capire molto di quello che vedi, ma se la prima impressione è quella che conta…
A cena risotto Knoor cotto” romanticamente” sulla terrazza della camera! 




Solita sveglia, solita ansia, "andiamo?".  Dopo aver fatto colazione,  cartina alla mano chiediamo se la strada, che abbiamo segnato la sera prima,  è percorribile.  La signora della reception,  molto gentilmente,  fa un paio di telefonate -non sappiamo a chi, forse l'equivalente della nostra ANAS- e ci dice:
 "the road is open, good road

Bene, vuol dire che riusciremo a evitare di percorrere  ulteriori chilometri e così,  con il tempo risparmiato,  entreremo in Armenia.
Caricate le moto, partiamo lasciandoci alle spalle il mar Nero, Batumi e l'assicurazione che non siamo riusciti a fare.


Inizialmente la strada sembra la pista giochi dei motociclisti. Percorriamo una sorta di pedemontana: una striscia di asfalto che si snoda lungo il percorso di un fiume, sempre con gli occhi ben aperti e la massima attenzione.  Non abbiamo l'assicurazione RCA e oltre lo stile di guida dei locali bisogna aggiungere la presenza degli animali al pascolo sul bordo strada.  Un "fenomeno" ,con un fuoristrada,  ci ha sorpassati come un missile e dopo quattro  curve lo abbiamo ritrovato fermo che raccoglieva lo stemma anteriore della macchina, staccatosi dopo aver "tamponato" un vitello che attraversava la strada.
In lontananza si vedono le cime dei monti ancora innevate;  sappiamo benissimo che dovremo salire fino a 2100 m.s.l.m., ma le condizioni della strada che percorriamo ci fanno ben sperare sui tempi di percorrenza!
Vuoi vedere che la signora dell’ albergo aveva ragione? 

 


Purtroppo  le illusioni  iniziano a svanire con il diminuire dell'asfalto, l'aumentare delle buche e degli animali al pascolo!




Procediamo riducendo l'andatura.  Non è una strada impossibile da percorrere,  ma è impegnativa, specialmente per il tipo di moto che abbiamo noi.
Paradossalmente la mia, che è la più pesante, è la più gestibile grazie alle gomme montate (Heidenau K60) e la sua altezza da terra;  Emanuele e Luca, con le gomme VStrom, rischiano di battere il paracoppa nei tratti peggiori.
Quello che mi fa riflettere sono i piccoli centri abitati situati lungo questo tratto di strada, lontani da qualsiasi  comodità.  Molte di queste abitazioni sono coperte con l'eternit e chi ci vive,  nell'arco dell'anno passa dalla neve (tanta)  al fango fino alla polvere quando è asciutto.  L'unico segno di modernità sono le parabole per la tv satellitare.




Dopo circa 40 km arrivo per primo al valico, sono a poco più di 2000 m. s.l.m.  Mentre aspetto gli altri vedo arrivare una macchina di cui,  a causa del  fango attaccato ,  a stento ne intuisco il colore e il tipo.
Si ferma, e si affaccia una ragazza che mi fa.: "Ciao, italiano?"  Sì rispondo io e aggiungo:  parli bene l'italiano, "Siamo italiani anche noi" replica la ragazza, "viviamo e lavoriamo a Mosca, siamo qui in vacanza".     
Piccolo il mondo!  Dopo aver parlato un po’ del nostro viaggio e del loro lavoro a Mosca,  al ragazzo che guidava ho chiesto in che condizione fosse la strada che riscendeva a valle.  Ha risposto dicendo che era molto impegnativa  per una macchina, ma le moto non avrebbero avuto problemi; a sua volta mi ha chiesto del tratto appena percorso... gli ho risposto "In bocca al lupo" 
Sono ripartiti.  Lui con lo sguardo terrorizzato e lei che rideva divertita! 
   Effettivamente la discesa è stata meno impegnativa della salita anche se, dopo un guado, mi sono appoggiato al monte con la Cicciona!  Colpa mia, della stanchezza e del nervosismo! 
Come ho già scritto ci sono voluti più di 2000 km per scacciare le paure e i fantasmi del 1 maggio 2014!      
e se per qualcuno questa strada potrebbe essere una passeggiata, io l'ho fatta come un gatto chiuso in un sacco, ma è servita tantissimo!
 

 








Una volta a valle ci siamo fermati a pranzo utilizzando come spazio- cucina una fermata dei bus.





Effettivamente la "good road"  si è rivelata una bella strada e una bella esperienza da fare,  ma ci ha portato via troppo tempo, per cui la visita in Armenia è svanita dal programma.  Sarebbe stato solo moto, moto, moto,  nella capitale. Nemmeno un giorno di sosta.


Dopo pranzo abbiamo proseguito tra scenari bellissimi in direzione  di Akalkalaki dove abbiamo trovato un "Hotel" molto turistico!
OVVIAMENTE questo non è l'hotel!!




Il  "negoziatore" è riuscito a strappare un prezzo stracciato: 15€  in tre per una notte!

La sera abbiamo cucinato il solito risotto in camera;  al mattino  il rito dell’ “ italico” caffè che abbiamo offerto anche alla signora,  gestore di questa sorta di hotel!




L'indomani mattina. usciti per caricare le moto, ci siamo resi conto di essere a 1700 m.s.l.m.,  considerando che alle 9.00  il termometro segnava ancora -2 . Durante la notte la temperatura era scesa sotto lo zero di diversi gradi.



Accese le moto per scaldarne i motori; sotto la mia inizio a vedere una minacciosa chiazza scura proprio sotto il lato dell'incidente :  tocco… annuso… liquido del radiatore... ok panico.


 Per la cabala era il settimo giorno di viaggio, l'anno prima il settimo giorno era stato pure l'ultimo... Al diavolo la cabala!  tiriamo via la carena e vediamo che tipo di danno è successo.

Mentalmente stavo ripassando tutti gli attrezzi e  gli accessori vari che mi ero portato;  ma fortunatamente, una volta scoperto il radiatore, ci siamo resi conto che era solo la fascetta del manicotto che, per qualche oscuro motivo, aveva deciso di perdere.

Aggiunta  una fascetta  il problema si è risolto. 











Rimontiamo tutto, ricarico la Cicciona e Emanuele dice: "ferma tutto che perde pure la mia",  stesso problema.   Amletico dubbio: sarà stata mica la signora dell'hotel che, per non farci andare via, ha sabotato le moto?

Alla fine,  grazie ad un’ altra fascetta,  sistemiamo tutto e ripartiamo alla volta di Tiblisi,  In Armenia, anche se ne avessimo avuto una mezza idea, non ci saremmo potuti più andare poiché anche questo contrattempo ci ha fatto posticipato la partenza.

 Partiamo direzione Tiblisi ma almeno una foto  al cartello per l'Armenia la facciamo.. 




 




La strada sui 2100 m.s.l.m. dell'altopiano è scorsa via tra i soliti panorami in tecnicolor. Il vento freddo ci spostava come foglie secche,  paesi lungo la via con i loro cimiteri a bordo strada, migliaia  di animali al pascolo,  bambini che al nostro passaggio salutavano ridendo e un paio di soste.                                                         








Tiblisi..


L'arrivo nella capitale georgiana è stato un tantino caotico.  Dopo tutta la strada  percorsa in assenza di traffico, ci siamo ritrovati in un ingorgo causato da un cantiere dove gli automezzi passavano ovunque.  Superato il primo momento di smarrimento  ci siamo adeguati al passo delle vetture e siamo andati a cercare un albergo degno di essere chiamato tale, pur mantenendo uno standard medio basso.



Il giorno seguente abbiamo fatto i turisti




Tiblisi è  una bella città  ricca di vita e ben tenuta,  nella parte vecchia, alcuni edifici  portano ancora i segni del forte terremoto che l'ha colpita qualche anno fa.  In generale è pulita e tranquilla, dove riescono a convivere, senza problemi, le tre principali religioni  monoteiste.


Abbiamo fatto anche un giretto in metropolitana!























Anche se la Georgia meriterebbe di essere visitata meglio , è tempo di ripartire.   Ci lasciamo Tiblisi alle spalle uscendo dalla città in direzione nord-est  alla volta della famosa strada militare che porta alla frontiera con la Grande Madre Russia.
 Una volta fuori dalla città  e dalla sua immediata periferia, ecco riapparire i villaggi di pastori e contadini, che vivono la loro "povertà" in modo sereno  e dignitoso.


    
Anche se strada facendo il tempo non ci assiste (strano!) gli scorci che si presentano alla nostra vista sono talmente belli e suggestivi  da farci fermare frequentemente per scattare alcune fotografie.



La strada militare  è famosa per lo scenario suggestivo e per la sua pericolosità,   strada facendo abbiamo trovato una testimonianza tangibile.



Una volta superato il  valico si trovano le gallerie.  In ingresso e in uscita ci sono griglie per lo scolo dell'acqua;  passarci sopra in moto è una sensazione unica!  tipo gatto attaccato...! Oltre le griglie da prendere in diagonale, bisogna fare attenzione a chi viene in senso opposto, in genere intento ad evitare buche.
                                         



Giunti alla frontiera, l'uscita dalla Georgia è stata velocissima, giusto il tempo di fare ciao ciao con la manina.  L'ingresso in Russia ci preoccupava un po’, soprattutto dopo aver letto, nei vari forum, di gente che ha avuto non pochi problemi per attraversarla.
Superata tutta la fila dei camion, un militare ci ha controllato i documenti e ci ha fatto entrare. Fermate le moto in una zona tranquilla, siamo entrati in un ufficio pieno di gente che riempiva dei moduli, appoggiata in ogni angolo libero.  Un impiegato ci ha indicato dei fogli al lato del bancone, gli stessi moduli che stavano compilando tutti gli altri,  rigorosamente scritti in russo,  ma... tranquilli, ci sono gli esempi affissi sulle pareti, tradotti in varie lingue (no, l'italiano non c'è) ma non è una operazione complicata; inoltre c'è sempre qualcuno disposto ad aiutarti.
Consegnati i moduli, controllati i visti sui passaporti, ci hanno fatti uscire fuori per il controllo delle moto.  A noi tre  è toccata una donna che, indicando il bagaglio da aprire, dava una rapida occhiata e con una sorta  di mugugno faceva intendere che andava bene e potevamo richiudere.  Ho notato un sorrisetto ironico sotto i baffi: sembrava quasi che si stesse divertendo facendoci aprire i bagagli più scomodi!  Dopo questo  veloce controllo ci fanno cenno di accomodarci all'uscita, anzi no, all'entrata della Madre Russia.  La prossima tappa è Vladikavkaz  (Dominatrice del Caucaso) 





Arriviamo in città, neanche a dirlo, sotto l'acqua.  Ci mettiamo alla ricerca del solito hotel a buon mercato e riusciamo a trovarne uno veramente a buon prezzo, di chiara derivazione ex- URSS, ma dotato di tutti i confort.  

Dopo esserci sistemati e docciati, usciamo per una ricognizione "alimentare" e ci rendiamo conto che proprio in quei giorni i Russi  festeggiano i settanta anni della sconfitta del nazismo.    la città è tutta addobbata ed è piacevole, nonostante la pioggia, partecipare ai festeggiamenti; c'è molta  gente in giro che canta e  ride di gusto. 
Dopo aver girovagato tra la folla, con un  perfetto stile da turista italiano, ci siamo rintanati in una sorta  di pizzeria, la famosissima  "Pizza Italia" dove abbiamo ordinato tre pizze, come farebbe qualsiasi italiano  in pizzeria.

La cameriera, che parlava solo russo, ha farfugliato qualcosa riguardo al menù e, vedendo che noi avevamo più fame che intenzione di capire, è andata a chiedere aiuto in cucina da dove è tornata poco dopo in compagnia del cuoco il quale, con un perfetto inglese, ci ha fatto capire che le pizze erano molto grosse e se eravamo sicuri di volerne tre. Che razza di domanda fai? con la fame che abbiamo certo che siamo sicuri!   Alla fine erano sì grosse ma non così tanto da non riuscire a finirle






 
La serata si è conclusa con i fuochi d'artificio e guardando la diretta tv dei festeggiamenti




La mattina successiva nel lasciare la stanza "entro" le 8.00 come consigliato dalla receptionist, abbiamo scoperto a nostre spese che Putin ha abbandonato l'ora legale oltre ad aver abolito quattro fusi orari.  In pratica i nostri orologi segnavano le 8:00  in realtà erano ancora le 7:00. quindi per fare colazione abbiamo aspettato un ora abbondante, un ora in meno di sonno

Si riparte
   Direzione Astrakan
  Strada facendo entriamo nella” famigerata” Cecenia.  Il tempo, al solito, è veramente brutto. Attraversiamo  Grozny sotto il diluvio universale e sotto gli sguardi perplessi delle poche persone che erano in giro, compresa una pattuglia di polizia che ci ha fermati per un controllo e per sapere chi fossero quei tre dementi che giravano con moto cariche come muli e bagnati come pesci.







Sarà che era un giorno di festa, sarà che pioveva, di fatto in giro c'era pochissima gente e l'atmosfera non era delle più ospitali, magari passando con il favore del sole e con un attimo di calma potrebbe essere meglio di quanto ci è sembrato al momento.














Il road book preparato a casa, diceva che tra  Vladikavkaz ed Astrakan c'erano circa 604 km. Ma... c'è sempre un Ma...  Al benzinaio,  presso il quale  ci siamo riforniti,  abbiamo chiesto come si presentava la strada da percorrere facendogli vedere sulla cartina dove volevamo passare. MA... la strada tracciata non c’è.  Non esiste  "è una palude" diceva e continuava a ripetere Niet Niet Danger Danger.


Ci fidiamo e, dopo aver consultato la mappa, deviamo per Elista percorrendo il rettilineo più lungo che io abbia mai percorso.  Per la verità ad Elista non ci siamo mai arrivati; dopo sette ore di guida 559 km. ed aver toccato quota  -59 s.l.m., grazie alla grande Depressione Caspica, siamo arrivati a Yashkul' 


E'  una cittadina nata sul bordo di una strada di grande comunicazione in mezzo al nulla più assoluto.  La gente qui vive e sopravvive solo grazie  agli autisti di mezzi pesanti che si fermano a mangiare o a dormire in uno dei tanti piccoli hotel presenti in città.



La giornata di viaggio termina in un incrocio,  in un piccolo agglomerato di case dinanzi a noi, dove un “piccolo” passante ci indica un “piccolo” caseggiato all’interno del quale ci dovrebbe essere un “piccolo piccolo hotel”. L’hotel in effetti c’è, ma le parole per descriverlo un po’ meno. Questa volta veramente non ci sono alternative. Le distante percorse nella pianura del mar Caspio ci hanno confuso facendoci perdere di vista la destinazione.







Abbiamo viaggiato per km. e km., ore ed ore, senza incontrare anima viva, case sparse o centri abitati . Quindi la scelta è obbligata: “piccolo piccolo hotel”.

  L’accoglienza da parte della signora, intenta a pulire il piazzale, è addolcita dal suo timido sorriso. Entriamo all’interno e l’aria densa di odori provenienti dalla cucina a vista, saturano l’aria, ma la nostra stanchezza non ci permette di notare né gli odori né il fatto che in questi hotel non ti affittano la camera: ti affittano il posto letto. Se poi vuoi tutta la camera paghi il pieno per vuoto.





Ci va di lusso, c'è ancora a disposizione una tre posti.  La stanza è minimal: letti bassi con sottili materassi e senza bagno; anzi, il bagno c’è, ma fuori.  E’ una latrina, situata nel giardino,







La Latrina!!

 Un gran buco scavato nel giardino“decorosamente” riparato da una baracca di legno con relativo  buco al centro del pavimento fatto con assi di legno.  Anche ciò fa parte del bello del viaggiare.

 Poco importa se non è facilmente usufruibile specialmente da me che ho ancora dei forti dolori al ginocchio sinistro, ogni volta che lo piego mi fa vedere le stelle!  La priorità è  riposarsi per ripartire il giorno dopo in forma. Fortuna dalla nostra parte. Dopo aver disfatto il bagaglio scendiamo nella hall per andare al vicino ristorante , proprio di fianco,  dove mangiamo ottima carne di manzo e patate bollite, attorniati sempre da quell’atmosfera russa che, dalla tv, inneggia ai settanta anni dell’anniversario della Liberazione dal Nazismo.    
 ,


Andiamo a dormire, ma alle 01.00 circa veniamo svegliati dal bussare deciso sulla nostra porta. Mi alzo con un occhio chiuso e uno aperto: apro, e due ragazzi dai tratti somatici decisamente asiatici e in borghese, mi mostrano un tesserino della Polizia locale.
Intuisco che farfugliano qualcosa sulle moto e, tra una chiacchiera e l’altra, ci consigliano di spostarle , per sicurezza, nel vicino parcheggio al costo di cento rubli a persona.
Il sentore di estorsione da parte dei due era troppo forte! Dopo aver chiesto spiegazioni e minacciato di chiamare l’Ambasciata, con Emanuele decidiamo di parcheggiare in quella che dovrebbe essere la hall dell’hotel con buona pace dei due sbirri locali e della proprietaria del piccolo piccolo  hotel. Ciò  dopo  aver documentato fotograficamente, per prudenza, i due soggetti.







L’evento ci ha turbato un po’ e il resto della notte trascorre quasi in bianco
Alle 5.30 locali riprendiamo la marcia non prima di aver offerto un caffè, fatto con la nostra moka, a Irina, figlia del gestore del Piccolo Piccolo Hotel.



 Attraversiamo velocemente Astrakan ed arriviamo alla frontiera  Kazaka. Dopo una, se pur minima, trafila siamo nel grande Stato del petrolio. La strada, che già ci era stata descritta come disastrata, è veramente tremenda; si percorre a 50 km/h non di più, ed in alcuni punti ci si deve fermare, scendere in prima marcia nelle buche e ripartire pian piano.








Percorriamo circa 150 km. alternando tratti pessimi a tratti leggermente migliori.  E’ tardi e non riusciamo ad arrivare ad Atyrau; si opta, quindi, anche se fa freddino, di pernottare in tenda montata nella steppa.

Troviamo un piccolo caseggiato dal cui interno esce un omino esile, dall’apparente età di 35 anni, chiediamo ospitalità e, dopo aver fatto un paio di telefonate  (è il guardiano di una sorta di stazione di pompaggio del petrolio)  ci consente di farci piazzare le tende nel suo recinto.


 


Poiché fuori è freddo e c'è molto vento, ci ospita in casa per farci preparare la cena; condividiamo con lui parte del nostro risotto che apprezza molto e dopo ogni italica  cena che si rispetti, c'è il rito del caffè,





sfoderiamo la nostra moka, gli facciamo “odorare” la polvere del caffè e, già incuriosito, sembra apprezzarne l’aroma; il top lo ha raggiunto quando l'oggetto misterioso ha iniziato a sbuffare e a far uscire il liquido nero e profumato.  Aveva una faccia stupita che sembrava stesse guardando un alieno

 Come spesso succede, davanti ad una tazza di caffè si fanno nuove amicizie.  Il nostro nuovo amico si chiama Ivan; ci raccontiamo  un po’ delle nostre vite, lui ci dice di essere sposato e di avere due bimbi, che il suo lavoro gli piace, anche se è monotono, dice anche che gli piacerebbe visitare l'Italia e che, forse, un giorno lo farà. Ci fa notare che per lui noi siamo un po’ matti ad affrontare un viaggio come quello in moto, però ci ammira perché in fondo l'avventura piace anche a lui.

Alla fine l’oggetto  che più lo affascina è la moka, la studia e la  fotografa,  manda messaggi a qualche amico tanto che dopo 15 minuti ne arrivano un paio di questi suoi amici che, naturalmente, ci inducono a riproporre il miracolo del caffè con la moka.
Altra magia: la mia macchinetta per rollare le sigarette; ne faccio due, una per l’amico del nostro ospite e una per me, io la fumo il tipo no,  dice che la fumerà più tardi.

E’ ora di dormire. Prima dei saluti ci facciamo una foto di gruppo con la bandiera del Motoclub Vigilfuoco Italia, cantando l’Inno d’Italia più stonato del mondo:  Mameli e il Presidente della Repubblica ci perdoneranno!



Salutiamo tutti e, tepore compreso, li lasciamo per andare in giardino dove le nostre tende sono pronte ad accoglierci.
Passata la nottata,  non troppo fredda, per fortuna,  ma molto ventosa, la mattina riproponiamo il caffè e subito dopo sbaracchiamo l'accampamento, ricarichiamo le moto e, mentre salutiamo nuovamente Ivan, arrivano  altri suoi amici ai quali viene mostrato solo il secondo miracolo (per il primo, quello del caffè, sono arrivati tardi).


La realizzazione delle sigarette con la apposita, “ magica” macchinetta ; "Italian machine" continuano a ripetere, ho provato a spiegare che è cinese ma loro niente, "Italian machine", ridono come i matti  e, tra imbarazzo e strette di mano, ci salutiamo e riprendiamo la strada.



Dopo circa 130 km. di strada in pessime condizioni, siamo ad Atyrau, dove veniamo accolti da Alessandro, un amico italiano e vicino di casa, che qui lavora, alternandosi tra Italia e Kazakistan!


Atyrau è nata come Colonia Penale Russa poi, quando hanno scoperto quante e quali risorse energetiche c'erano sotto terra, si è sviluppata come città. Non è il massimo per viverci. Alessandro ci racconta che in inverno la temperatura può arrivare a  -30 e in estate a +40 e se l'inverno ti copri,  d'estate tra caldo, umidità, moscerini e zanzare non si vive un gran che bene.

Approfittiamo dell'ospitalità di Ale per fare il bucato e una mega doccia per togliere l’odore nauseabondo che abbiamo addosso.




Si riparte e, finalmente, smettiamo di rincorrere le ombre verso ovest; il navigatore ci dice che stiamo andando verso sud,

la tappa successiva sarà Beyneu, 85 km. prima della frontiera uzbeka.
  Salutiamo tutti e ci lasciamo Atyrau alle spalle.  Procedendo su un nastro di asfalto perfetto, a differenza del giorno prima, oggi riusciamo anche a guardarci intorno senza preoccuparci di finire in qualche buca; qualche sosta per fotografare i cammelli (quelli veri, quelli con due cilindri)  una sosta in una caserma di pompieri vista al volo e giù fino a Beyneu!









Arriviamo nella piccola cittadina e, sempre grazie al navigatore, troviamo un hotel dove fermarci. A differenza di due notti fa questo è il Grand'hotel.  Parcheggiate le moto, mentre stavamo scaricando i bagagli, assistiamo al rientro di una mandria di cammelli verso le stalle. E’ curioso vederli dal vivo e cosi numerosi!









Mattina. Pronti a muoverci.     
Ci aspettano 85 km. di polvere e la giornata, a causa del percorso che dobbiamo percorrere, comincia con un nervosismo latente ma chiaramente  presente.
 La strada di 85 km. circa, dinanzi a noi ed antistante la frontiera uzbeka, è famosa per la sua situazione disastrata.  Incrociamo le dita e si va…

  L’asfalto ci saluta, dopo il primo km., per cedere il posto a lastroni di cemento immersi nel fango essiccato dai quali escono dei” bei” tondini di ferro: spaccare una gomma qui equivale alla fine del viaggio o, per lo meno, ad un mostruoso ritardo. Ognuno di noi cerca la propria traiettoria migliore e tutti ci auguriamo che  non piova, altrimenti sarebbe ancor più faticoso guidare con le nostre moto.






I km. cominciano a scorrere e, dopo la prima pausa dedicata al caffè fatto lungo strada con la nostra moka, allentiamo decisamente la pressione psicologia data dall’incognita del percorso e riprendiamo a scherzare, parcheggiati lungo quella strada silenziosa e disabitata.
Gli 85 km. scorrono abbastanza velocemente anche se non ci concedono alcuna distrazione, non siamo dei piloti di off-road né  abbiamo le moto adatte, ma è una strada che si può fare senza troppe paure mentali.
Ad ogni modo, continuo a non spiegarmi il perché debbano lasciare le strade di frontiera in queste condizioni!

Misteri della politica!













 

 La frontiera uzbeka è lì davanti a noi. Un fiume di persone, quasi un esodo, è in attesa di transitare mentre bivacca  alla meglio.

Questa gente ha un’ estrema dignità e pazienza inspiegabile.

 

Facciamo qualche foto di rito e ci avviciniamo all'ingresso della frontiera. Due militari armati ci aprono la sbarra obbligandoci a passare con le ruote dentro una sorta di vasca contenente dell'acqua putrida, non sapremo mai se dentro ci fosse del disinfettante di sicuro il timore di scivolare cadendoci dentro era tanto, una volta dentro la frontiera la trafila inizia. 
Dopo due ore occupate a destreggiarsi tra passaporti, timbri, moduli, fotocopie dei documenti ecc. eccoci entrare in Uzbekistan.




Superata la frontiera, provvediamo a fare subito l'assicurazione RCA per le moto e riportare alla giusta pressione le gomme che avevamo un po’ sgonfiate  per affrontare gli 85 km. di sabbia e terra,



 Consiglio,non cambiate i soldi in frontiera, non conviene, basta allontanarsi di qualche chilometro ed il cambio è  più favorevole.


  Passata la frontiera la strada migliora decisamente e ciò ci permette di allentare la tensione che avevamo accumulato un po’ per la strada che non era bellissima, un po’ per quello che avevamo letto e sentito al riguardo prima di partire. Altro consiglio, quando si leggono in internet i racconti di viaggio, a volte bisogna dare un calo del 50% alle difficoltà che si raccontano, a meno che non si conosca personalmente l’autore!

I  primi 200 km. scorrono facilmente e senza la minima traccia di traffico se non quello dei cavalli a lato strada,



 





Proseguiamo ancora per qualche chilometro finché non troviamo un alloggio per la prima notte uzbeka

Come da prassi si tratta di un albergo di poche pretese, sempre per camionisti di passaggio, ma decoroso e in più si mangia bene. Hanno una buona birra e, lusso dei lussi, abbiamo il bagno in camera!























La mattina ci trova ben riposati e in forma. Ormai la meta si avvicina e, finalmente, vedremo con i nostri occhi le bellezze decantate dagli amici viaggiatori e non solo da loro.
Sveglia alle 7.00 e dopo aver ricomposto quello che, per tutti i quarantatré  giorni, sarà la nostra “casa” carichiamo le moto e procediamo verso la nuova destinazione.

  La strada, parallela alla ferrovia, scorre via bene. Per circa i primi 200 km. si alterna tra fondo asfaltato,  buche e tratti di terra ma,tutto sommato, è in buone condizioni. Nulla a che vedere con il tratto di 85 km.. prima della frontiera uzbeka.  Man mano che scendiamo a sud, migliora fino a giungere su un tratto di asfalto nuovo di zecca. In quella zona ci sono molti cantieri stradali dove alcune ditte cinesi stanno costruendo nuovi tracciati o pavimentando da nuovo  le strade esistenti. Tra qualche anno arrivare a Samarcanda via terra sarà quasi una passeggiata






L'unico rimpianto che abbiamo è quello di non aver deviato verso Mo‘ynoq sul  lago Aral, testimonianza tangibile della demenza umana! Per saperne di più cliccate sul nome della città, si aprirà la pagina di Wikipedia e capirete di cosa parlo.


Se la pioggia all'inizio del viaggio ci ha tormentati, ora veniamo ripagati da una temperatura gradevole; da queste parti, in estate, fa veramente caldo e viaggiare con +40 gradi non è proprio un divertimento!
  Con l'avvicinarsi dell'ora di pranzo  lo stomaco borbotta sempre di più e decidiamo per un "localino" on the road.  Pranzo a base di pecora e verdure strepitoso! la regola del “fermati dove ci sono i camionisti” vale in tutto il mondo!

A volte succede che durante le soste al distributore, per pranzo, sosta caffè o solo per le funzioni fisiologiche,  quelli del posto  si avvicinino, fanno un mucchio di domande e toccano qualsiasi parte delle moto, gas compreso. Questo particolare lo raccontava il nostro amico Totò, ma non pensavamo che fossero così tanto curiosi; addirittura si fermano con le macchine, scendono, accendono una sigaretta e via con la giostra! Dopo aver risposto alle domande e borbottato per la eccessiva curiosità suscitata dalle moto, ci rimettiamo in marcia. in fretta e furia.



Ovviamente l'Uzbekistan non è popolato solo di rompi coglioni,  direi che il creatore per fortuna li ha distribuiti in maniera uniforme su tutte le terre emerse,

molti  si avvicinavano con timore e chiedevano informazioni con educazione. Un paio di questi li abbiamo incontrati quando eravamo ormai prossimi alla meta. Due sidecar, su uno c'era un papà con i suoi due figli. Emanuele ha immediatamente fraternizzato.












Prima di Khiva siamo stati fermati dalla polizia per un controllo e, dopo aver scambiato idee sul calcio, su i cantanti italiani e viste alcune foto di chissà quale viaggio fatto da uno dei poliziotti, siamo ripartiti per giungere finalmente a destinazione!








Khiva Secondo il mito, sarebbe stato Sem, figlio di Noè, a fondare la città, è una delle città Uzbeke tra le più famose per la sua collocazione lungo la Via della Seta, . purtroppo è ancora più famosa per il commercio degli schiavi che si è protratto fino ad oltre la metà del  IXX secolo. Dal 1991 la città  fa parte del Patrimonio dell'Umanità.  La sua architettura, lo stato di conservazione della parte vecchia ed il fatto di avere ancora le mura di cinta integre, la rende estremamente affascinante.
Appena entrato nella città vecchia sono rimasto a bocca aperta e non mi bastavano gli occhi per guardarmi intorno. Pur essendo nato e cresciuto a Roma, quindi abituato alle opere d'arte e ai monumenti,  qui lo stato d’animo è completamente diverso!  Complice forse l'orario erano le 8.30 e in giro non c'era nessuno,  l'avventura motociclistica, il fatto che questo tipo di architettura l'avevo vista solo in TV o sulle foto, l'atmosfera che si respira! Insomma, lì per lì mi è molto piaciuta; mi sembrava addirittura di vedere le carovane dei commercianti all'epoca di Marco Polo! No, non ero drogato! :-P
 Man mano che gli occhi si abituavano alla novità e il tempo trascorreva facendo aumentare il flusso di gente,  ho iniziato a notare il numero indefinito di bancarelle, il caos dei turisti, il cammello legato destinato alle foto con il turista di turno in groppa.  A quel punto è finito l'incanto e sono ritornato con i piedi per terra, nella realtà.

Pur avendo apprezzato bellezza di questa città, ne sono rimasto un po’ deluso.  In pratica il suo centro è solo un enorme bazar rivolto al turista (e lo so, di qualcosa dovranno pur campare!) alla fine ne approfitti  per  osservare gli artigiani mentre intarsiano il legno o le donne intente nella tessitura di tappeti  o il ricamo della seta. Ma  anche questa è cultura.









Nella moschea Djuma, tra le antiche colonne, Sono in tutto 212  pezzi unici che risalgono anche al decimo secolo



Questo popolo è il risultato di un mix non indifferente di razze. Ci sono ragazze con gli occhi chiari e con i tratti somatici orientali,e ciò le rende molto affascinanti!
 



















Le tessitrici di tappeti hanno le mani d’oro e la vista di lince!  Entrati in un  laboratorio, Emanuele ha immediatamente socializzato: si è seduto tra le donne e ha iniziato a tessere un tappeto seguendo le pazienti spiegazioni della “malcapitata tessitrice” che gli sedeva accanto! Alla fine dell’esperienza  risate generali delle operaie ed un gruppo di australiani intenti a fotografare questo fuori programma.





Fino a quel momento avevo fotografato tutto e tutti come un turista isterico, ma tornati tra le vie della città la sensazione di essere in una sorta di centro commerciale d’oriente ormai era certezza.  Ciò mi ha riportato alla mente i buoni propositi:  mantenere un profilo basso e non da turista folle,  a quel punto li ho messi in pratica ed ho riposto l'attrezzatura fotografica!

Anche se qui, come del resto in molte altre città del mondo, tutto è rivolto  al turista, per fare commercio dei prodotti artigianali del luogo, resta comunque il fascino di una città antica che, nel silenzio del tramonto, racconta la sua storia affascinante come le cupole che brillano sotto gli ultimi raggi  del sole! E noi lì a guardare e a scattare l’ennesima foto!  
Una curiosità: abbiamo incontrato una gita di italiani che, guarda caso erano di Perugia. Quanto è piccolo il mondo!






Bella Khivabelle le sue donne, ma è tempo di ripartire. Bukhara ci sta aspettando a 400 km. più a sud.

Prima di partire ci siamo fatti un paio di caffettiere “conviviali” con i proprietari della ghest house e con Luis, un ciclo- turista peruviano che, con l’ aereo, è arrivato a Istanbul. Dalla capitale turca ha poi“pedalato”per tutta la Turchia, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, fino a Xiva!  Massima ammirazione per questo ragazzo! Dopo le foto di rito, ci siamo messi in marcia.





























La strada  inizialmente, una semplice statale, a tratti con quattro corsie,  attraversa diverse cittadine più o meno grandi. Lo spettacolo che mi colpisce sono i bambini che vanno a scuola; sono tutti vestiti uguali con una sorta di divisa che comprende giacca per i maschi e un gran fiocco bianco tra i capelli neri delle bambine. Si incontrano a gruppetti, i più grandicelli tengono per mano  i più piccoli e, tutti insieme, vanno a scuola.




Dopo alcuni chilometri la statale si è trasformata in una  impeccabile quattro corsie che si snoda tra un apprezzabile scenario dove il deserto inizia a lasciare spazio al verde.





Ora di pranzo.   
Ci siamo fermati, inizialmente, in un villaggio che sembrava promettere del cibo, ma, dopo un breve giro, ci siamo resi conto di aver sbagliato e non di poco. Su consiglio del più giovane, abbiamo proseguito per altri 5 km, dopodiché ci siamo fermati in uno dei soliti ristoranti lungo la strada: pesce fritto, verdure miste e coca-cola.
Sembrerà strano ma si trova più facilmente la coca-cola che l'acqua in bottiglia. Alla fine ci siamo fatti,  da prassi, il solito caffè all'italiana suscitando la curiosità dei presenti






 
Il viaggio è proseguito senza emozioni particolari, la fantastica quattro corsie  ha ceduto il posto ad una  strada statale, in pessime condizioni, fino a Bukhara, questo alternarsi di condizione stradale, continuerà fino alla fine dell'avventura.
    Siamo quasi a metà del viaggio e, mentre guido in questo tratto monotono di strada, ripenso a quello che ho visto da quando siamo entrati in Uzbekistan. A differenza del Kazakystan che ha il sottosuolo impregnato di petrolio e gas, qui oltre le piante di cotone e una buona agricoltura, nella valle del Fergana, gli abitanti  non vivono nell'benessere o con le comodità alle quali la "civiltà" occidentale ci ha abituati. Non so però se compatire o invidiare queste persone: finora ho visto solo visi sorridenti alla vista di tre moto , neanche tanto nuove, il continuo salutare degli abitanti del luogo,siano a piedi, in macchina o sul carretto. Salutano e si sbracciano se non li vedi, salutano e ridono, se ti fermi si avvicinano, fanno foto che faranno vedere a chissà chi, se ci parli non si lamenta nessuno della propria situazione. I più informati ci dicono: "Italia Berlusconi bunga bunga" (pure qui è arrivato! poveri noi) parlano un po’ di calcio  si dicono fieri di appartenere a questa grande nazione e alla fine se ne vanno sorridenti  ringraziando continuamente. Questo  comportamento fa riflettere su  quale sia il parametro per misurare la felicità!


  Abbandono ben presto  i pensieri filosofici; l'anno precedente mi ero schiantato con la moto proprio perché avevo la testa immersa in pensieri e riflessioni!
  Arriviamo a Bukhara, dove resteremo due giorni. Troviamo un  hotel a due passi dal centro e posto per le moto nel cortile interno. Detta così sembra facile, per superare i quattro gradini per far entrare le moto siamo ricorsi ad una tavola e dei sassi: la Cicciona, con me sopra, pesa quasi 450 kg..Non è poco, ma il tavolaccio ha stoicamente resistito           





Mentre cercavamo l'albergo ci siamo persi nelle stradine della città. Che bella esperienza!






Oggi, dopo tanta pioggia, è arrivato finalmente il sole, si fa sentire e non è ancora estate. e passare la giornata a zonzo ci sembra strano, abituati come siamo a guidare per chilometri!
Khiva è bella, tutta raccolta tra le sue mura di cinta ma, come già detto, siamo rimasti delusi dalla atmosfera da bazar che si respira!
A Bukhara questa sensazione è meno evidente: anche qui ci sono attività commerciali rivolte ai turisti  ma, forse per la maggiore estensione della città, si avverte meno la pressione!
Come a Khiva, si nota subito la pulizia nelle strade e si nota anche attraversando la parte “meno nobile” della città, quella che sta ai lati del salotto buono composto dal minareto, dalla moschea, dalle madrase e dai caravanserragli.

Girando per le vie si resta affascinanti dalla architettura delle costruzioni, una su tutte la Torre del Minareto Kalon, eretta nel 1127, alta quarantasette metri e con fondamenta profonde dieci metri, imbottite di canne di bambù che hanno una funzione antisismica. La leggenda narra che sotto ci sia sepolta la testa di un Imam  (ucciso dal Re dell’epoca) e che una notte  l’Imam, apparso in sogno  al Re, gli abbia chiesto  di seppellire la sua testa in un luogo dove mai nessuno l’avesse calpestata, e lui preso dai rimorsi di coscienza, fece edificare la torre sopra il luogo della sepoltura!

Di sera la vita cittadina ruota intorno alla Piazza Lyabi-Hauz al cui centro c’è una vasca, con ai bordi giochi d’acqua, che aiuta a combattere la calura serale.   Anche qui abbiamo incontrato il gruppo di Perugia conosciuto a Khiva.  Incredibile!

Moschea e minareto Kalon
Madrasa






















Madrasa
Particolare della copertura del Bazar Taki Sarrafon.




Venditore di pane con forno portatile
Spezie




ingresso nord del Bazar Taki Sarrafon.




La mattina siamo partiti da Bukhara con la consapevolezza che in quella città bisognava passarci almeno un altro giorno!
Il programma iniziale prevedeva il ritorno via terra passando da Mosca, San Pietroburgo, e giù fino a casa passando dalle repubbliche baltiche, ma dato che stavamo valutando una variazione di percorso, quel giorno risparmiato lo avremmo investito in altro….

L’uscita delle moto dalla rimessa è stata uguale all’ingresso…. Con il brivido! Tavola di legno su 4 scalini e uscita a filo porta delle borse laterali, la mia cicciona essendo più alta non ha avuto grossi problemi, una volta messa la ruota posteriore sull’asse, è uscita bene.
Le due Strommine, essendo più basse, hanno smussato i mattoni del marciapiedi,


















La strada è scorsa via bene, percorrere i 270 km che ci separano da Samarcanda, è come andare in centro a fare due passi, nonostante la cosa si ripete ormai da diversi giorni, strada facendo ancora mi stupisco dei millemila saluti e sorrisi al nostro passaggio.





Anche se li avevamo già visti, continuano a stupirci i  bambini che escono da scuola, parliamo di età comprese tra i 5 e 13 anni, tutti sorridenti "come dovrebbero assere tutti i bambini del mondo", tutti vestiti uguale con le divise di scuola, in una zona in particolare costretti ad attraversare una strada a scorrimento veloce, 4 corsie, dove le buche regnano e la gente non va proprio pianissimo, li abbiamo visti scavalcare il new jersey aiutandosi tra loro, fare dei tratti contromano in corsia di sorpasso ed a volte chiedere un passaggio alle automobili in transito. In cuor mio spero che non succeda mai niente ma ne dubito fortemente visto anche lo stile di guida.



                                              Finalmente la meta...

                                                  Samarcanda!!




Grazie alle indicazioni stradali che arrivate via mail e ad una buona dose di fortuna, siamo giunti puntuali all’appuntamento con Anatoli Ionesov, Direttore Museo Internazionale per la Pace e la Solidarieta con il quale avevo preso contatti per consegnare la famosa lettera proveniente da Assisi







Il B&B che il nostro amico ci aveva prenotato, si trova a due passi dal mausoleo del Tamerlano, dopo aver preso possesso della camera, ci siamo recati a casa di Anatoly, che nel frattempo ci stava preparando la cena, ci ha illustrato le molteplici attività del museo compresa la divulgazione dell’Esperanto, gli abbiamo consegnato 8 delle 9 stelle raffigurate su legno di olivo e gelso, proveniente dalle piante del sacro convento di Assisi.




Sono numerate e si possono assemblare formando diverse figure! La numero uno recante una dedica di Anatoly è tornata indietro con noi ed è stata consegnata ai frati di Assisi, in modo per stabilire una sorta di ponte tra la città della pace e il museo di Samarcanda!






Il giorno seguente abiamo fatto il gemellaggio con i pompieri Uzbeki con la consegna della targa inviata dal nostro capo del corpo Ing. Gioacchino Giomi








Dopo i convenevoli di rito, ci siamo scambiati informazioni sui rispettivi modi di operare e attrezzature e mezzi a disposizione,
Per quanto riguarda i mezzi, hanno a disposizione Isuzu e kamaz, questi ultimi sono il lascito della ex unione sovietica. 
Anche se il parco macchine è per lo più datato, sono tenuti tutti in perfette condizioni. La casistica degli interventi è molto simile a quella della città di Perugia, sia per tipologia che per numero di interventi! L’unico dato che differisce dal nostro, è il numero degli incidenti stradali, da loro purtroppo è ancora alto, a quel punto ho rivisto nella mia testa,  le facce  di quei bambini incrociati per strada mentre andavano a scuola,




I pompieri sono uguali in tutto il mondo, ora ne ho le prove, all'uscita dalla caserma la curiosità si è spostata sul nostro viaggio, alle difficoltà che avevamo incontrato e cosa ne pensavamo degli Uzbeki , della loro terra, la bellezza delle donne italiane, Berlusconi (ancora?) e il calcio dopo una mezz'ora abbondante di chiacchiere   i nostri nuovi amici hanno provato tutte e tre le moto e si sono fatti un mucchio di foto  finchè il loro capo li ha richiamati all'ordine con quattro urlacci lanciati da una non meglio identificata finestra rompendo l'incantesimo di questa strana visita,






Rientrati velocemente in hotel, giusto il tempoo di organizzarci ed è arrivata l'assessore, finalmente abbiamo consegnato la lettera all'assessore alla cultura della città di Samarcanda, Signora Rita Z. Mahmudova.
Dopo la parte ufficiale ci siamo giocati anche la carta del caffè concludendo con una specie di brindisi.
"Ancora con sto caffè?" direte voi... diciamo che abbiamo avuto un problemino tecnico, in pratica la guarnizione della moca ci ha abbandonato nel momento meno adatto, era si un pò allentata e appiccicosa, ma fino al mattino aveva assolto al suo dovere.
La sola idea di non poter prendere un caffè decente alla mattina ci spaventava, ma non poterlo offrire all'assessore era improponibile, a quel punto è entrata in gioco la mente contorta del pompiere, due giorni prima, avevo notato che  la guarnizione in gomma posta sul bordo del cupolino si stava staccando così per evitare di perderla l'avevo tolta. L'idea era di rimetterla apposto appena rientrato in Italia e invece è stata sacrificata per sostituire la guarnizione deceduta della moka!
Ha assolto al suo nuovo compito in maniera perfetta, l'unico problema era che dovevamo allentare la caffettiera finché era calda, diversamente o l'apriva Sansone oppure bisognava rimetterla sul fuoco a scaldare








Riflettendo sugli effetti della caffeina pensavo che  è vero, bevono "grean chai" il Tè verde, che comunque contiene la teina, ma è anche vero che la caffeina del nostro caffè è un altra cosa.
Durante la prova di tenuta (della guarnizione) fatta nell'attesa che arrivasse il nostro ospite, Anatoly ne ha bevuti un paio più un terzo durante l'incontro, alla fine l'ho  visto un attimo provato,  anche lui ha ammesso che non aveva mai preso tanti caffè tutti insieme e che la cosa lo aveva scosso abbastanza





Assolti i compiti "istituzionali" ci siamo dedicati alla visita della città, lo abbiamo fatto da turisti ma un po defilati rispetto alla massa e grazie al nostro cicerone, un amico di Anatoly  (del quale purtroppo non ricorderò mai il nome) che ci ha fatto vedere da un punto di vista diverso da quello del turista "tipo" le bellezze della città
Samarcanda ha 2759 anni di storia, non sto a scrivere, ovviamente copiandola da un altro sisto, la sua storia ma se siete curiosi cliccate questo link

La cosa che ha caratterizzato  questa visita è stata la strada percorsa a piedi, TANTA,  e caminando camminando siamo andati a visitare:
Il museo Afrasiab che conserva i reperti archeologici rinvenuti nell'antico insediamento rinvenuto su una collina adiacente, (Maracanda)  dove alla fine del 19 ° secolo, alcuni studiosi russi  fecero la scoperta archeologica.
Era il  1970, durante i festeggiamenti del 2500° anniversario di Samarcanda  che venne data la notizia dell'esistenza di  una Samarcanda dai tempi antichi, che restò in essere fino al 13 ° secolo. 
Nel 1220 le orde di Gengis Khan rasero al suolo la città e il resto della popolazione fu costretta a spostarsi  a sud, verso il luogo della moderna Samarcanda. 











Osservatorio di Ulugbek è stato costruito dal grande astronomo e governatore di Samarcanda Mirzo Ulugbek in 1428-1429. Per le sue dimensioni, strumenti e risultati della ricerca ,ha avuto una qualità impareggiabile nel 15 ° secolo. L'osservatorio è stato costruito sulla collina rocciosa al di fuori dei confini della città. Il complesso comprende una parte del sestante che è stato realizzato sotto la terra




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Mausoleo di Khodja Daniyar. la presunta tomba  di Daniele  il profeta dell'Antico Testamento, noto nell'Islam come Danyāl. Le sue reliquie furono trasportate fin qui dalla Siria nel 14 ° secolo





















Shahi Zinda - un complesso di mausolei si trovano all'interno del cimitero - è stato realizzato  in oltre nove secoli, dal 11 ° al 20 ° secolo. e si compone di circa 20 edifici - mausolei, moschee e madrasse.
E 'un luogo di pellegrinaggio per i musulmani, come la parte più antica del complesso che è la tomba del cugino del Profeta Maometto - Kusam ibn Abbas, secondo i credenti non è morto ma solo dormiente vive ancora nel tabernacolo celeste sotterraneo. Da qui il nome "Shahi - Zinda" - "Viva il Re".






























Moschea Hazrat - Khizr.  moschea del tardo 19 ° - inizio del 20° secolo. Nei primi anni del 20 ° secolo, è stata restaurata. Hazrat-Khizr è il patrono dei viaggiatori, eroe di alcuni racconti popolari, e padrone dell'acqua 






Bibi Khanum Tamerlano si sà, voleva fare di Samarcanda la città più bella del mondo, e prima di partire per una nuova guerra ordinò di costruire un complesso religioso, con due moschee, scuola coranica e ostello per i pellegrini. Il tutto è stato costruito tra il 1399 ed il 1404 appunto durante la campagna di conquista in India,
La leggenda vuole che il tutto fosse dedicato ad una delle sue mogli  MA (c'è sempre il famoso MA) sembra che l'architetto persiano incaricato della costruzione, si innamorò perdutamente di questa donna, la quale vedendo il ritardo accumulato per la costruzione e dopo tante insistenze, per toglierselo di torno gli concesse una.... pomiciatina, il problema fu proprio il bacio ricevuto dalla dama, fu talmente focoso che le lasciò un segno sulla guancia. 
Non potendosi presentare con quel segno al marito, pensò di mettere un velo per coprire il segno,  al suo ritorno  il Tamerlano, vuoi per la lunga astinenza, vuoi per la curiosità, fece togliere il velo alla moglie e vedendo il segno  si incazzò talmente tanto che la uccise facendola seppellire in una parte del complesso eretto in quegli anni, destinandola a tomba, poi andò a cercare l'architetto che nel frattempo si era nascosto nel minareto appena costruito e li, poco prima che le guardie lo catturassero, si è fatto spuntare un bel paio di ali ed è volato via tornandosene a casa sua.
A quel punto Tamerlano, ancora incazzato come un riccio per la storia, obbligò tutte le donne del regno portare il velo. 
Questa è la leggenda della nascita del "chador"  


IL complesso fu pesantemente danneggiato, come il resto dei monumenti della città, durante un terremoto a fine 800, restaurato poi dalle autorità uzbeke, ma ha perso di fatto tutto il suo particolare pavimento L'altezza massima è di 36 metri, la larghezza di 46 metri. I  lavori di restauro, hanno  avuto luogo nell'arco di diversi decenni. 






















Usciamo  della moschea per andare al Gran Bazar, strada facendo  incontriamo alcune venditrici ambulanti e Emanuele ne ha approfittato subito per mettere in piedi uno dei suoi teatrini



Purtroppo al bazar ci siamo arrivati tardi, gran parte della gente già era andata via, a differenza di quanto ci aspettavamo era tutto molto tranquillo per fortuna c'era ancora tutta la merce esposta.





















Abbiamo  notato una cosa che ci ha lasciati perplessi, le donne uzbeke hanno quasi tutte dei denti d'oro impiantati, ci hanno spiegato che vanno di gran moda ed iniziano sin da ragazze limando il dente buono per farselo incapsulare con quello d'oro, De gustibus non disputandum

Siamo tornati in albergo soddisfatti ma con i piedi lessi per il gran camminare





Quella sera siamo stati invitati dal fratello di Anatoly a festeggiare il suo 50° compleanno, abbiamo accettato di buon grado anche se poi la serata si è rivelata più alcolica che mangereccia, ad ogni modo è stata la prima volta che ho alternato frutta di stagione a formaggi ed affettati, brodini e zuppette varie per tornare poi alla frutta ed al formaggio, mah? misteri culinari!

Di questa festa abbiamo una sola foto buona, le altre sono venute mosse. :-)






L'indomani siamo andati a visitare la piazza del Registan, la sua imponenza e la bellezza dei mosaici ti lascia veramente a bocca aperta.


Registan - significa "luogo sabbioso"  una delle più belle piazze del mondo. Zona monumentale si compone di tre madrasa.
Anche prima che venissero costruite è stato un importante punto di commercio per l'artigianato e il centro amministrativo della città. 
La prima delle tre  madrasse - Ulugbek - è stata costruita tra gli anni 1417-1420 
Due secoli dopo furono costruite le altre due: Sher-Dor (1619-1631) e Tilla-Kari (1646-1660) su ordine dell'allora sovrano di Samarcanda Yalangtush Bahadur.Una volta entrati nella piazza ci siamo persi tra le folla dei visitatori e le voci dei commercianti che vorrebbero rifilarti  gli acchiappa polvere (soprammobili) più pacchiani del mondo, per "fortuna" dopo Bukhara e Khiva eravamo già allenati a schivare i venditori di patacche, in più mettiamoci che 50€ cambiati nella loro valuta hanno un volume tale da doverli portare in uno zainetto o dividerli tra tutti e tre, quindi vuoi per la mancanza di denaro vuoi perché non rispondevamo ai richiami, siamo passati quasi indenni.






































Nel pomeriggio la visita della città è continuata solo per Emanuele e Luca, io purtroppo sono dovuto rientrare in albergo a causa di alcuni disturbi intestinali che mi portavo dietro già da qualche giorno, sono uscito per cercare le sigarette (maledetto vizio) e con massimo stupore o incontrato di nuovo la comitiva di Perugia, ma questa volta è l'ultima volta che ci incontreremo in queste terre, l'indomani loro andranno nella capitale e le nostre strade si divideranno


Nel frattempo i compagni di viaggio sono andati a visitare una fabbrica di carta, ottenuta dai rami di gelso, una sinagoga e l'unica chiesa cattolica di Samarcanda, vi allego qualche foto scattata da Luca e vi consiglio di andarci se mai passerete da quelle parti.

























A questo punto sarebbe dovuto iniziare il viaggio di ritorno ma come ho già scritto, avevamo cambiato radicalmente i programmi. 
Anziché tornare via terra, saremmo andati in direzione Kyrgyzstan, quindi invece di deviare per Tashkent, si prosegue verso est attraverso la valle del Fergana fino alla frontiera rincorrendo di nuovo le ombre.

Questa cosa aveva preso forma dopo aver saputo che il Kyrgyzstan non richiedeva il visto sul passaporto, dato che eravamo più vicini a lui che all'Italia abbiamo allargato il giro, già' a Bukhārā avevamo preso contatti con lo spedizioniere che l'anno precedente, a seguito del mio incidente, aveva riportato in Italia le nostre tre moto, alla fine dovevamo "solo" arrivare ad Almaty  









Come ormai consuetudine, al mattino ricomponiamo i bagagli, carichiamo le moto e dopo un affettuoso saluto con il nostro amico Anatoly, ripartiamo alla volta della nuova destinazione lasciando qui un pezzo di cuore







La valle di Fergana 


Altro fallimento delle 
scelte scellerate  fatte dal regime della Ex URSS ma a differenza quella fatta per il lago Aral che ha provocato danni irreparabili, in questo caso speriamo che il buon senso trionfi.

La valle è la parte più fertile e con la densità abitativa più alta dell'Asia centrale, le scelte fatte all'epoca dal partito comunista russo con la logica del divide et impera, portarono alla frantumazione della regione che venne divisa tra Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan, senza tenere conto delle divisioni etniche della zona. Tutto sto bordello amministrativo ha portato a contestazioni anche gravi (le ultime nel 2013) sia per lo sfruttamento dell'acqua dei fiumi sia dei confini tracciati in relazione alle etnie che ci vivono, infatti in alcuni casi non vengono nemmeno rispettati, viaggiando verso il confine Kirghizo la cosa si avverte molto bene, per un lungo tratto la strada viaggia a fianco del confine Tagiko e l'esercito è presente in maniera massiccia su tutto il percorso.






Che la valle sia fertile lo avevamo capito già percorrendola, poi abbiamo incrociato le mietitrebbie.... tante... tantissime e tutte in fila, per guardare meglio ci siamo fermati e tramite un calcolo empirico abbiamo dedotto che saranno state circa
90 un enormità!


Non  siamo riusciti a coprire i 540 km ma non a causa nostra,  il problema sono i  continui posti di blocco della polizia.
  Essendo una zona "calda" i controlli  erano veramente frequenti ed in più ogni 100 km circa, c'era una specie di casello usato come posto di blocco dove esercito e polizia controllavano i veicoli in transito e manco a dirlo  a noi ci hanno sempre fermati!! 

Le domande  sono sempre la stesse….  Dove andate da dove venite,  fotocopie: passaporto,  libretto moto è visto…. In un paio di occasioni abbiamo tirato fuori la moka ed usato il caffè come lasciapassare

Sta di fatto che la strada è bella, si arrampica sui monti con dei bei tornanti veloci, quasi tutta è a 4 corsie, in prossimità delle gallerie c'è sempre l'esercito compresi  dei gran cartelli (li ho visti dopo) che indicano il divieto di fare foto o riprese video.

All'uscita di una delle ultime gallerie, come si vede nel video,  sono stato fermato da un soldato, per fortuna ho spento la cam dal telecomando prima che arrivasse e dopo un occhiata, senza capirci un gran che o magari perchè non era interessato alla videocamera sul casco ma alla moto, ci ha salutati e siamo ripartiti per raggiungere la valle


 

  
 Strada facendo abbiamo assaggiato una minima parte di quello che ci aspettava nei  giorni a seguire,  un passo di montagna  a 2230 mt. La temperatura dai 30  gradi di Samarcanda è  crollata agli 11 del passo…  Lo scenario è  cambiato nuovamente,  siamo passati dal verde scolorito  delle piante di cotone nelle valli di Samarcanda,  al verde intenso e la roccia rossa carica di ferro delle montagne oltre le quali c’è la Valle del Fergana.
Durante il percorso abbiamo anche costeggiato un grande polo industriale dove viene estratto il ferro dalla roccia, situato alle porte di una cittadina, vedere l’immensa nuvola dei fumi di scarico che sovrasta e soffoca la città, non ci ha fatto  un ottima impressione ma credo che la cosa non piaccia neanche a chi ci abita o forse, se la fanno piacere per i posti di lavoro che la fabbrica offre.
 Il resto della strada è scorsa via tra un controllo  di polizia  uno dell’esercito  e uno scenario mozzafiato compreso il tizio che lavava la propria automobile letteralmente dentro il lago! 
 
 


Arrivati al primo paese ci siamo trovati un posto dove trascorrere la notte, solito sistema, tante chiacchiere a sfinimento e prezzo stracciato...
 


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